Aggiornato alle 18:16 del 8 agosto 2025

L’INTERVENTO

Dietro il blackout iberico: la necessità di aggiornare tempestivamente la regolazione

Una procedura obsoleta del 2000 ha portato la rete elettrica più rinnovabile d'Europa al collasso per motivi di tensione. Se la politica va più veloce della tecnica, il blackout non è questione di se, ma di quando

di Maurizio Delfanti* e Luca Lo Schiavo**

La narrazione dei primi giorni

Il 28 aprile 2025, alle 12:33, la Spagna piomba nel buio. In pochi secondi, 15 GW di generazione elettrica scompaiono dalla rete, lasciando senza energia l’intera penisola iberica e 47 milioni di persone. È il blackout più grave della storia spagnola e portoghese, ma anche uno dei più istruttivi, perché il primo che accade in condizioni di elevato funzionamento delle rinnovabili. Nelle ore immediatamente successive al blackout, media ed esperti (non sempre) del settore puntano il dito contro le energie rinnovabili. L'accusa è sempre la stessa: troppo fotovoltaico e eolico, poca "inerzia" del sistema. Le grandi centrali termoelettriche, con le loro turbine rotanti, forniscono stabilità meccanica alla rete. Gli impianti solari ed eolici, collegati tramite inverter elettronici, no.

La narrativa sembra convincente. Al momento del blackout, le rinnovabili coprivano il 78% della generazione. Tanto che i prezzi sul mercato elettrico erano negativi: i produttori dovevano pagare per piazzare l’energia.  "Il sistema aveva un livello di energia cinetica ridotto", conferma José Allen Lima, esperto portoghese di reti elettriche. Ma aggiunge un dettaglio cruciale: era "entro le previsioni delle precedenti simulazioni" del gestore spagnolo Red Eléctrica (Ree). L'inerzia in effetti gioca un ruolo cruciale, perché determina la rapidità con cui si deteriora la frequenza, ma non è certo responsabile della causa scatenante, di quello che si può chiamare “l’innesco” dell’effetto domino. Con poche centrali convenzionali in funzione, il sistema spagnolo aveva effettivamente poca "massa rotante", un serbatoio di energia cinetica, che serve per stabilizzare la frequenza. Questo non ha causato il blackout, ma ha reso impossibile controllarlo una volta innescato.

La convergenza di multipli fattori
Riavvolgendo il nastro della giornata del 28 aprile, come ora possibile grazie alle prime ricostruzioni ufficiali pubblicate, emerge un quadro inquietante, perché non è vero che il sistema collassa all'improvviso: nei giorni e nelle ore precedenti, lancia segnali di allarme che vengono sottovalutati o fraintesi. Dalle prime ore del mattino, la rete elettrica spagnola è attraversata da oscillazioni anomale di frequenza: si tratta di piccole perturbazioni, che il sistema riesce ancora ad assorbire, ma che indicano una crescente instabilità. "Durante questo periodo si registrano alcune chiamate da parte di operatori al gestore del sistema riguardo alle oscillazioni", rivela il rapporto del Comitato di esperti nominato dal Governo spagnolo nella sua relazione resa pubblica il 17 giugno.

Alle 12:03, la prima grande oscillazione colpisce il sistema con una frequenza atipica di 0,6 Hz. Gli operatori seguono i protocolli: riducono l’export verso la Francia, rinforzano la rete elettrica inserendo più linee a 400 kV per aumentare la magliatura. Misure corrette, ma che hanno un effetto collaterale insidioso: spingono le tensioni ancora più in alto. Il rapporto del Comitato di esperti provoca una prima posizione difensiva di Ree che arriva netta nel rapporto tecnico pubblicato il giorno seguente: "L'incidente non si è prodotto per un problema di inerzia; si spiega dal bilancio di potenza reattiva (controllo di tensione) e non di potenza attiva (controllo di frequenza)". Il problema, insomma, non era (solo) la stabilità della frequenza del sistema, legata ai bilanci e agli scambi di potenza attiva, ma (anche) qualcosa di diverso: il controllo delle tensioni nei vari nodi, che ha a che fare con la meno nota potenza reattiva.

Ma che la tensione avesse giocato un ruolo fondamentale, lo avevano intuito ben prima diversi esperti. Tra i primi a capire cosa stesse realmente accadendo c’è Luis Badesa, dell’Università politecnica di Madrid. Il 18 maggio, solo venti giorni dopo il blackout, presenta un'analisi che ribalta la narrativa dominante. "Le sovratensioni erano visibili per tutta la mattinata", scrive nella sua presentazione. "Le oscillazioni erano un sintomo delle sovratensioni esistenti?" L’analisi va oltre. Mostra che le sovratensioni erano "un problema noto" in Spagna da anni. "Ree aveva lanciato un progetto dimostrativo per il controllo di tensione, dove riconosceva e spiegava questo problema". Tre mesi prima del blackout, la centrale nucleare di Almaraz era già andata fuori servizio per lo stesso motivo: stava assorbendo energia reattiva (comportamento induttivo) per contrastare le sovratensioni quando le protezioni l'hanno scollegata. La chiave di lettura di Badesa è illuminante: "Perché il taglio automatico del carico per sottofrequenza non è stato efficace? Questo suggerisce che il problema di fondo erano ancora le sovratensioni". In altre parole, le protezioni tradizionali del sistema, progettate per gestire cali di frequenza, erano inadeguate per un fenomeno di natura profondamente diversa.

Ma cos'è successo veramente quel 28 aprile? Il rapporto del Comitato di esperti nominato dal Governo afferma che il sistema spagnolo è collassato per “la convergenza di multipli fattori, che vanno ben al di là del criterio N – 1 per il quale i sistemi elettrici sono progettati e operati”; in particolare, per una reazione a catena di sovratensioni divenuta via via incontrollabile.

Il controllo delle tensioni
Che il governo delle tensioni fosse particolarmente critico , è qualcosa di cui si erano accorti anche i distributori. Le testimonianze più inquietanti emergono dalle trascrizioni telefoniche pubblicate dal quotidiano El debate . "Le prime avvisaglie delle anomalie si erano già registrate il 16 aprile", scrive il giornale spagnolo che ha pubblicato le registrazioni delle telefonate pervenute alla sala operativa di Ree dai capiturno dei centri di controllo dei distributori locali che lamentavano sovratensioni nel sistema. "Sì, è l'energia solare, che va e viene a causa dei prezzi", risponde un operatore di rete del Tso. Una spiegazione che minimizza il problema, ma che rivela come l'instabilità fosse nota prima del collasso.

Il meccanismo che consente di governare le tensioni su una rete elettrica, in modo che rimangano in un intorno ben definito del valore nominale (tipicamente, del 10%, tanto in sovratensione quanto in sottotensione), prevede una gestione coerente di diverse variabili di controllo. Principalmente, si agisce sulle macchine convenzionali, in grado di regolare puntualmente tensione in un intervallo ragionevolmente indipendente dalla produzione di potenza attiva; è possibile poi sfruttare l’apporto della generazione connessa tramite inverter, oggi limitato dalle regole vigenti; ma è anche fondamentale il ruolo delle infrastrutture di rete, potendo in quel caso agire sulla magliatura di rete, e anche inserendo o disinserendo condensatori o reattanze, infine variando il rapporto prese dei trasformatori. Mentre le prime leve di controllo sono in mano agli operatori di mercato , le attività pertinenti le reti risultano sotto l’esclusivo controllo del Tso.

Quando l’insieme di questi fattori non viene gestito in maniera accurata, si può innescare un meccanismo perverso. Infatti, quando le tensioni salgono troppo, alcune protezioni si attivano: gli impianti di  generazione si scollegano automaticamente per proteggere i propri impianti (disconnessione per sovratensioni che superano il 110% della nominale, secondo soglie e tempi opportuni). Ma ogni disconnessione riduce il carico sulla rete, facendo salire ulteriormente le tensioni e innescando nuove disconnessioni. È un effetto domino che, una volta iniziato, diventa inarrestabile.

"Una volta iniziata la reazione a catena, le protezioni abituali del sistema elettrico non sono riuscite a fermare né contenere questo processo", conclude il Comitato. "Alcune di queste protezioni, come i tagli di carico, hanno persino contribuito al fenomeno di sovratensione scaricando ancora di più le linee".

Un ulteriore ammanco di potenza arriva dalla generazione distribuita. L'Ordinanza Ted 749/2020 stabilisce che tutti gli impianti fotovoltaici connessi a tensioni inferiori a 110 kV  devono disconnettersi automaticamente dopo appena un secondo se la tensione supera 1,10 volte il valore nominale. Una soglia che, quel 28 aprile, viene raggiunta e superata in migliaia di punti contemporaneamente. Leggendo il rapporto di Ree, l’azione dei variatori sotto carico non è stata sufficientemente rapida (del resto, sono operati per finalità diverse, non certo per reagire nell’arco di pochi secondi).

È l'effetto domino perfetto: ogni disconnessione riduce l’immissione sulla rete, spingendo la frequenza sempre più giù. Il risultato è che migliaia di impianti fotovoltaici, per un totale di diversi gigawatt, si scollegano quasi simultaneamente, amplificando a dismisura l'instabilità del sistema.

Le cause di queste sovratensioni sono multiple. Il sistema spagnolo aveva troppe poche centrali termiche in funzione (solo 11, secondo il rapporto del Comitato di esperti si tratta del numero più basso dell'anno) per assorbire l'energia reattiva prodotta dai grandi impianti fotovoltaici del sud del paese. Un comunicato di Iberdrola del 22 giugno rincara la dose: il numero finale di centrali sincrone accoppiate "è stato il più basso dall'inizio dell'anno” e “c'è stata una previsione di risorse di controllo di tensione per le ore centrali del giorno, inferiore a quanto calcolato all'inizio della giornata, 27 ore prima". Le rinnovabili, configurate per operare a fattore di potenza fisso, non potevano adattarsi dinamicamente alle esigenze della rete. E quando le oscillazioni hanno iniziato a destabilizzare il sistema, non c'erano strumenti sufficienti per controllare le tensioni in tempo reale.

Le conclusioni del rapporto di Ree
"La prima conclusione di questa relazione è che, a differenza di altri incidenti gravi, questo è stato causato da una serie di circostanze cumulative che hanno ampiamente superato il criterio di sicurezza N-1", ammette Ree nel suo comunicato del 18 giugno. "Tra le conclusioni è stato stabilito che una tipologia di generazione è scattata in modo errato (le rinnovabili, ndr) e un'altra non è stata conforme alle norme di controllo della tensione del P.O. 7.4 (le macchine convenzionali, ndr)", riconosce il gestore.

Ed è proprio qui che emergono le circostanze più inquietanti. La perdita della generazione diffusa si sarebbe potuta evitare se lo scatto delle protezioni non fosse avvenuto in maniera intempestiva: “L'aggiornamento del P.O.1.4 è in attesa di approvazione dal 2021, tuttavia l'ordinanza Ted 749/2020 stabilisce che i generatori devono resistere senza disconnessioni a livelli superiori a quelli stabiliti nel PO.1.4.” sostiene Ree nella sua relazione. In effetti, l’ordinanza Ted 749/2020 che riporta i limiti di tensione (come già detto, distacco per la generazione distribuita dopo 1 secondo se la tensione va oltre 1.1 p.u.) si limita a dire che “tuttavia, al fine di garantire la sicurezza della rete, il gestore della rete di distribuzione avrà il potere di definire tempi di disconnessione diversi, in coordinamento con l'operatore del sistema, in funzione delle caratteristiche del punto di connessione o di assistere a situazioni di rete non previste al momento della connessione per l'evoluzione futura delle caratteristiche della rete elettrica, sempre che non richiedano un ridimensionamento non previsto nel modulo di generazione elettrica”. Insomma, non esattamente una norma cogente per i produttori.

Il “P.O. 7.4”, la procedura operativa che regola il meccanismo controllo di tensione del sistema elettrico spagnolo a cui dedichiamo un box separato, risale al 10 marzo 2000... e nel 2000, le rinnovabili erano una curiosità tecnologica. La Spagna aveva pochi megawatt di eolico e il fotovoltaico era ancora quasi sconosciuto. La norma fu concepita per un sistema basato su grandi centrali termoelettriche e nucleari, non per una rete con oltre il 70% di energia rinnovabile.

"Il PO 7.4 è stato ridefinito da anni per adattarlo alla situazione attuale del sistema elettrico", interviene sui social un altro esperto dell’Università politecnica di Madrid "È stato consultato l'ultima volta nel dicembre 2024 e nessuno può spiegare perché la sua approvazione sia continuamente e assolutamente ingiustificatamente ritardata". La Commissione Nazionale dei Mercati e della Concorrenza (Cnmc), il regolatore spagnolo, aveva effettivamente ricevuto da Ree la proposta di riforma della procedura operativa della regolazione di tensione il 13 marzo 2024. Ma l'iter si è trascinato per mesi, con consultazioni pubbliche, audizioni, revisioni. E anche progetti pilota, in Galizia (zona con grandi installazioni eoliche) e Andalusia (zona votata al fotovoltaico). Ma il blackout del 28 aprile è arrivato prima.

Il 12 giugno, una settimana prima della pubblicazione del rapporto del Comitato di esperti, la Cnmc approva finalmente la delibera DCOOR/DE/005/24 (pubblicata però il 19 giugno) con la quale approva la nuova procedura operativa P.O. 7.4, insieme a modifiche conseguenti di altre procedure operative. "È chiave l'implementazione del PO 7.4", scrive il Comitato di esperti nelle sue conclusioni, "che permetterà alle installazioni asincrone applicare soluzioni di elettronica di potenza per gestire le variazioni di tensione". In effetti la delibera Cnmc prevede ancora tempi di attuazione molto lunghi: “Los procedimientos aprobados por la presente resolución surtirán efectos desde el día 1 del mes siguiente a los doce meses de la publicación de esta resolución en el Boletín Oficial del Estado”: insomma, un anno pieno di implementazione.

Il nuovo regolamento è comunque una rivoluzione. Trasforma il controllo di tensione da servizio "obbligatorio gratuito" a "servizio di mercato retribuito". Introduce penalizzazioni effettive per chi non rispetta gli obblighi (1 euro/MVArh). Crea mercati zonali per capacità reattiva aggiuntiva. Soprattutto, estende l’accesso ai servizi di controllo tensione a tutte le tecnologie: fotovoltaico, eolico, accumuli, impianti ibridi. Fino ad ora, questo servizio era riservato principalmente alle tecnologie sincrone (come cicli combinati); con il nuovo PO 7.4, anche gli impianti rinnovabili (solare, eolico) potranno fornire il servizio di controllo della tensione.

Occorrerà quindi che il regolatore non solo solleciti l’implementazione del nuovo meccanismo, ma ne curi l’enforcement (verificando il comportamento effettivo dei player sul mercato del reattivo e facendo applicare le penalità introdotte, per quanto ancora modeste) e anche avvii gli ulteriori sviluppi regolatori, in particolare in tema di “inerzia sintetica”, ormai possibile dal punto di vista tecnologico, e utile per contribuire alla stabilità della frequenza.

Le responsabilità condivise e il ruolo della regolazione
Ma chi sono i veri responsabili del blackout? La risposta non è semplice. "Penso che in un certo senso non sia colpa di nessuno e sia colpa di tutti", sintetizza Javier Revuelta di Afry, con una delle analisi più equilibrate della vicenda. "Presumibilmente alcune protezioni sono intervenute sotto la soglia teorica, ma se questo aspetto non viene monitorato o penalizzato dalle normative, non sono sicuro che possa essere punito ex-post", osserva Revuelta. Inoltre, Ree "ha rispettato i suoi rigorosi studi e tutto sembra alla portata dell'operazione". Le rinnovabili "non sono da biasimare per la loro oscillazione in una determinata situazione di rete, ma il design e il coordinamento dei loro controlli è molto difficile".

L’apagòn del 28 aprile ha implicazioni che vanno ben oltre i Pirenei. La Spagna è il laboratorio europeo della transizione energetica: se una rete con oltre il 70% di rinnovabili può collassare in 30 secondi per poi restare al buio per ore, cosa dobbiamo aspettarci per il futuro del continente?
La rete elettrica spagnola non è crollata per mancanza di energia: è crollata perché sono scattati gli asset sbagliati, quelli giusti non hanno reagito e tutti hanno seguito regole pensate per un sistema alimentato da combustibili fossili e male adattato per un sistema decarbonizzato.

La lezione è chiara: la transizione energetica non è solo una questione di installare più pannelli solari e turbine eoliche. Richiede una completa riprogettazione delle regole: per tenere insieme lo sviluppo dei mercati e dei segmenti regolati della filiera. Il problema delle tensioni ce ne dà un esempio chiarissimo: solo la gestione congiunta di asset di mercato, come i generatori (nuovi e vecchi) e di asset di rete, come reattori, condensatori e linee, può garantire una sicura operazione del complessivo sistema. A due mesi dal blackout, la Spagna ha approvato il nuovo P.O. 7.4 e pianifica investimenti in flessibilità e accumuli. Ma il tempo perduto pesa come un macigno. "Credo che ci siano argomenti per incolpare tutti, e allo stesso tempo non ci siano elementi per multare nessuno", conclude Revuelta. "E il timore di multe salate provoca più attacchi che collaborazione, che invece è necessaria per chiarire la questione".

La vera lezione del 28 aprile è più sottile delle accuse incrociate tra attori di mercato, operatore di sistema, distributori e – sullo sfondo – il ruolo e i tempi del regolatore. È un monito per tutta l'Europa: quando la politica corre più veloce della tecnica, si rischia che l'ambizione spinga a superare la prudenza. Se la regolazione non tiene il passo e le norme invecchiano mentre la realtà galoppa, il blackout non è più questione di se, ma di quando. E in quei 30 secondi di effetto domino che hanno innescato ore di buio totale, la Spagna ha offerto al continente uno specchio spietato di cosa può succedere quando la regolazione non fa la sua parte, in un futuro energetico estremamente più complesso e che non può più essere affrontato “con il senno di prima”. Uno specchio in cui nessuno vuole mai più rivedersi.


*Politecnico di Milano
**​ERRA – Energy Regulators Regional Association



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